Nel loro quarto rapporto sulle cento migliori aziende fintech al mondo, la multinazionale della revisione contabile Kpmg e il fondo di investimenti H2 Ventures hanno incluso anche una società italiana. È Satispay, la startup che ha progettato un borsellino elettronico per effettuare pagamenti digitali dal telefonino. Per gli autori della ricerca, Satispay è una società da tenere sott’occhio nei prossimi anni. È nella categoria Emerging stars (stelle emergenti) per il volume di capitale raccolto, il grado di innovazione e la peculiarità della sua attività. Per la prima volta un’impresa italiana del fintech accede alla classifica internazionale.
Chi guarda al bicchiere come mezzo pieno, osserva che l’Italia inizia a produrre innovazione che ottiene riconoscimenti internazionali. Per chi lo trova, al contrario, mezzo vuoto, è segno che il fintech nostrano è ancora debole, frammentato e con un mercato asfittico. Nella classifica gli Stati Uniti sono il primo paese con 19 società finanziarie innovative, ma alla Cina bastano le sue nove per accaparrarsi primo, secondo e terzo posto del podio.
Li occupano Ant Financial, la holding che possiede Alipay; Zhongan, che ha alle spalle Alibaba e Tencent, e Qudian, quest’ultime due partecipate dalla prima classificata. L’Australia esprime dieci fintech, il Regno Unito nove, Francia e Germania cinque, la Svezia tre, Polonia, Messico, Brasile, Nigeria e Olanda due. Nella classifica entrano 29 Paesi del mondo. Per gli autori è segno che “nessuna nazione possiede l’innovazione fintech”, che è “un fenomeno globale”.
“In Italia scontiamo un po’ di ritardo in tutto il settore finanziario. Le nostre startup sono sottofinanziate e l’infrastruttura è più lenta”, riconosce Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio fintech e digital finance del Politecnico di Milano. A giugno gli studiosi hanno messo a confronto la percentuale delle startup italiane su quelle del resto del mondo in quattro settori: agroalimentare, industria 4.0, turismo e finanza. Nel primo caso sono l’11% del totale, nel secondo caso il 10% e nel terzo il 2%. Quando si analizza la finanza, sono meno dell’1%.
Confronto della percentuale di startup italiane in quattro settori (Politecnico di Milano)
Anche Accenture ha analizzato le startup del settore. E delle tremila che ha individuato a livello mondiale, 115 sono in Italia e hanno ottenuto 33 milioni di euro di investimenti su un movimento globale di 70 miliardi. Sono all’incirca i numeri emersi da un’indagine del Parlamento italiano (gli scostamenti sono dovuti ad alcuni criteri di individuazione delle startup). L’inchiesta rivela che nel 2016 nel Belpaese il fintech ha raccolto 50 milioni di euro di investimenti distribuiti su 150 aziende. Messo a confronto con il Regno Unito, il mercato italiano è una formica. Oltre Manica gli stanziamenti hanno sfondato un miliardo di euro.
Pietro Sella, amministratore delegato del gruppo Banca Sella, insiste su un parallelismo. “La rivoluzione industriale è nata nel Regno Unito duecento anni fa, ma ora le più importanti economie manifatturiere in Europa sono Italia e Germania”, spiega il manager. “Non è il ritardo alla partenza che conta, ma la capacità di innovare”, aggiunge, “e in Italia si è capita la portata dello strumento. La sharing economy e l’industria 4.0 hanno bisogno di nuove soluzioni finanziarie”.
Renga riconosce che in Italia ci sono “begli esempi”, come la stessa Satispay. O Moneyfarm, che si occupa di guidare i risparmiatori nell’investimento dei loro denari, ma lo fa da Londra. O ancora Credimi, che effettua l’anticipo delle fattura. Quest’ultima è volata in Cina nelle scorse settimane e la sua offerta ha riscosso interesse tra gli investitori di Pechino. E altre ancora se ne potrebbero elencare: Soisy, Lendix, Sardex e Blockchainlab. A Milano Banca Sella ha realizzato un distretto del fintech per avvicinare gli operatori del settore. “È un’esperienza utile, ma in Italia non serve creare un altro centro di competenza, perché il mercato è piccolo e serve massa critica per crescere”, avverte Renga.
Il Fintech District a Milano (foto: Luca Zorloni per Wired)
Tra pochi giorni Digital Magics, incubatore di startup quotato in Borsa a Milano, chiuderà il primo programma di accelerazione delle startup fintech. I partner, tra cui Bnl, Poste Italiana, Ubi, Reale Mutua e Banca Sella, hanno messo in palio fino a 900mila euro per sostenere in sei mesi l’approdo sul mercato dell’azienda.
L’attenzione sulla finanza tecnologica sta aumentando. Il termometro sono i social network. Al Salone dei pagamenti, fiera del settore organizzata dall’Associazione bancaria italiana (Abi), gli analisti di The Fool hanno descritto come si parla di fintech in rete. Hanno studiato oltre 100mila conversazioni e riconosciuto che gli utenti mostrato ottimismo e attesa verso i nuovi servizi, benché riconoscano “l’arretratezza dell’attuale situazione italiana”. Anche il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, in un’audizione alla Commissione finanze della Camera, ha rilevato che le imprese del fintech “fungono da stimolo per gli operatori tradizionali e lo sviluppo di importanti segmenti del settore finanziario”. Per Antonella Aureli, direttore generale a capo della divisione mercato del capitale di Accenture, “in un mercato in grande trasformazione come quello del wealth e asset management, le banche devono aumentare gli investimenti in innovazione per cavalcare le opportunità offerte dal digitale e non soccombere all’ingresso nel settore degli operatori non tradizionali”.
L’analisi di The Fool sul fintech nei social network in Italia (The Fool)
È il caso di Satispay. La startup ha appena siglato un accordo per entrare nel sistema di PagoPa, il metodo di pagamento digitale della pubblica amministrazione. In sostanza tasse, bolli, multe e ticket sanitari, finora appannaggio di operatori più tradizionali, si potranno pagare dal telefonino. “Satispay ha lavorato nel solco creato dal legislatore” per “accettare, attraverso la piattaforma PagoPa, i micro-pagamenti basati sull’uso del credito telefonico”, spiega Valeria Portale, direttore dell’osservatorio Mobile payments del Politecnico di Milano. “La soluzione di Satispay, non basata sul credito telefonico, bensì su fondi trasferiti dal proprio conto corrente, ha anticipato anche gli operatori telefonici che – in attesa di un Decreto di regole tecniche mai arrivato – non hanno lanciato ancora dei servizi”, aggiunge. Le agili startup, quindi, hanno sorpassato a destra le aziende più strutturate.
Ora si affaccia la rivoluzione della direttiva europea Psd2, che allargherà i sistemi di pagamento a terze parte, esterne agli attori finanziari puri. “L’impatto in termini di abbattimento delle barriere all’entrata è sostanziale: si potrà inviare denaro via chat, avere un’app che gestisce le finanze accedendo ai conti e alle carte di credito, avere un’ampia scelta rispetto alle modalità di pagamento online”, è l’opinione di Pitruzzella. “Queste regole sono invariabili per ciascun paese europeo, quindi non cambiano il suo posizionamento”, ammonisce Renga. Come dire: non sarà la Psd2 a rendere fertile il terreno italiano per la finanza tecnologica.
Per creare un habitat ospitale per le società fintech, il docente consiglia di adottare il modello del sandbox. Creare un recinto dove le startup possono testare le loro innovazioni sul mercato, prima di accendere i motori. Nel Regno Unito, per esempio, prima di ottenere un’autorizzazione a operare, una società fintech può fare attività di premarketing, creare un sito internet, promuovere il servizio e raccogliere così i riscontri del mercato prima di fare il grande passo. “È un modello positivo, consente di dare più libertà di innovazione per far sì che non sia implementata in altri Paesi, a vantaggio di qualcun altro”, osserva il docente del Politecnico. Sella è più cauto. “L’attività è regolata per gestire i rischi nel mondo migliore. Le startup che affrontano queste regole sono spinte a farlo nel mondo migliore e questo si riflette sui risultati”, osserva l’ad del gruppo Sella. E aggiunge: “Il sandbox è un modello che più si adatta al mondo anglosassone. Lussemburgo e Berlino non lo adottano, ma questo non ha limitato l’attività del fintech”.
L’Antitrust ha acceso un faro sulle regole del gioco dei nuovi operatori digitali. Sta studiando “le dinamiche ed eventuali criticità concorrenziali dei mercati dell’economia digitale italiani connesse ai big data”, che potrebbero “rafforzare il potere di mercato di alcuni operatori, generare effetti di lock-in per gli utenti e costituire barriere all’entrata”. Altro rischio, per Pitruzzella, è la “perdita dell’elemento fiduciario implicito nella componente di servizio umana”, che nel settore finanziario può “sottoporre i consumatori al rischio di insufficiente comprensione delle caratteristiche dei prodotti e servizi offerti”.
Fonte: WIRED.it